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La segheria dopo la devastazione fascista (1922).


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Per ognuna delle flessioni registrate dal grafico esistono naturalmente delle spiegazioni, riconducibili ai fattori climatici, all'andamento dei mercati del bestiame o al verificarsi di epizoozie.
A fronte di queste sequenze alternate, 1'unico indicatore che si mantiene in costante ascesa fino al 1921 è quello dei salari pagati ai soci ed agli operai avventizi. Se questo dato può apparire «normale» nel contesto della politica di massima occupazione perseguita dalla cooperativa, più difficile diventa la sua giustificazione dal punto di vista di una corretta gestione aziendale. Gli elementi di rischio derivanti dalla crescita indipendente dell'indice dei salari dovevano, del resto, risultare evidenti anche ai dirigenti della società se, nel corso dell'assemblea annuale del 21 marzo 1920, essi proposero di adottare una deliberazione con la quale si stabiliva «che il salario non poteva, né doveva essere che sotto forma di acconto, salvo a regolare le cose a fine di esercizio in base ai risultati del bilancio». La decisione venne approvata a maggioranza ma fu proprio in seguito ad essa che nei mesi seguenti si accese un aspro confronto, il più drammatico mai vissuto, tra i soci della cooperativa. Su questa vicenda si avrà occasione di ritornare tra poco. Per completare il quadro sullo stato della società occorre invece soffermarsi ancora nell'analisi della situazione debitoria. A partire dal 1919 la cooperativa agricola di Fontanelle, per far fronte a «le gravi difficoltà incontrate nella sistemazione dei fondi, quattro dei quali, di biolche 937, erano quasi affatto incolti», ottenne il primo prestito di  800.000 lire dall'Istituto Nazionale di Credito per la Cooperazione il quale si riservava in garanzia il privilegio su tutti i prodotti e le scorte, vive e morte. La somma poteva essere utilizzata interamente o in parte, contro il rilascio di effetti cambiari con scadenze non superiori a quattro mesi. Nel contratto non si fa cenno alcuno agli interessi passivi da pagarsi sulle quote prelevate, ragione per cui si potrebbe supporre che il denaro venisse prestato gratuitamente. Sta di fatto però che, nel bilancio dell'esercizio 1919, di contro alla voce «interessi e sconti passivi» è iscritta la cifra non trascurabile di 38.497 lire corrispondente ad un tasso del 22,85%  sul capitale assunto in prestito. Se questa quota interessi sia da attribuirsi ad altri eventuali prestiti bancari, magari utilizzati per sopperire alle carenze di liquidità in concomitanza con le scadenze degli effetti cambiari, non ci è stato possibile appurare, in mancanza dei documenti di banca. La questione è comunque ininfluente per la valutazione complessiva della situazione debitoria della cooperativa. Ciò che conta è invece la vertiginosa progressione del ricorso al credito, sia nella forma già menzionata che attraverso mutui ipotecari, che si verifica negli anni seguenti fino al 1922 (vedi grafico 5). Le cifre sono eloquenti di per se stesse: 1.960.000 lire (1920), 4.183.521 lire (1921) e 4.904.508 lire (1922). A fronte di esse sta una corrispondente sequenza di crescita delle somme pagate per interessi: 85.268, 298.013, 276.505. Questo trend debitorio abbraccia anche gli anni successivi al '22 ma la sua significatività è diversa dopo 1'annata che segna l'ascesa del fascismo al potere.
Che cosa è possibile concludere dagli elementi appena esposti? Evidentemente, la cooperativa agricola di Fontanelle, per sopportare il grande sforzo di ristrutturazione quantitativa e qualitativa delle proprie attività, era stata costretta ad adottare tra il 1919 ed il 1922 una rischiosa politica di finanziamenti esterni, esponendo 1'impresa oltre la soglia di indebitamento che essa poteva sopportare (vedi grafico 6). Malgrado gli aumenti apportati al capitale sociale ed il tentativo di rastrellare denaro tra i soci attraverso la sezione di «Piccolo Risparmio» creata nel 1920 dalla Casa dei socialisti, I'incremento nello stock dei beni capitali non poteva che essere bilanciato da un incremento dei debiti verso gli istituti di credito e le banche. Le affittanze collettive avevano sì dimostrato un discreto grado di redditività, oltre a garantire nuova occupazione per i contadini associati. Occorrevano però tempi lunghi per stabilizzare queste tendenze mentre proprio il tempo giocava a sfavore dei cooperatori fontanelliani: la lentezza dei tempi di ritorno degli investimenti immobilizzati e, più in generale, il basso grado di liquidità delle imprese agricole in quell'epoca avevano così generato una spirale debitoria dalla quale non sarebbe stato agevole uscire.
Fu in questi frangenti che, nell'estate del 1922, si abbatté sulle cooperative di Fontanelle la violenza devastante delle squadre d'azione fasciste.
A questo punto è forse possibile ipotizzare che, insieme alle difficoltà materiali e psicologiche seguite all'aggressione, la sfavorevole congiuntura della gestione finanziaria sia stata in buona parte all'origine delle frustrazioni che vanificarono i tentativi di ripresa compiuti fino al 1929, anno della definitiva messa in liquidazione.

 
Caseificio ed edifici della prima sede delle organizzazioni operaie fontanelliane dopo le distruzioni fasciste (1922).

Sarà utile richiamare qui la questione dei mutamenti intervenuti nella mentalità solidaristica del gruppo fontanelliano, durante il primo dopoguerra, ed estesisi a consistenti settori dell'organizzazione cooperativistica anche fuori dal piccolo centro.
Si è già detto del conflitto apertosi in seno alla cooperativa agricola nel corso dell'anno 1920 riguardo alla questione dei salari, subito dopo la decisione di adottare il sistema degli acconti.
Contro questa linea si era coagulato il malcontento dei soci più giovani che, appena ritornati dal fronte, avevano riversato nel movimento una nuova carica di attese e di bisogni soggettivi, irriducibili - almeno in buona parte - alle tradizionali concezioni della cooperazione socialista.

 L'insofferenza verso la disciplina dell'organizzazione, il rifiuto dei sacrifici da compiere in nome di un benessere collettivo ancora da venire, la caduta di tensione delle idealità mutualistiche, erano alcuni dei tratti di questa mentalità nuova che reclamava dalla cooperazione 1'opportunità di valorizzare le capacità individuali, esaltate e frustrate insieme dalla guerra.
Questa frattura con i valori storici del movimento cooperativo e socialista non è tuttavia ancora sufficiente a spiegare la durezza dello scontro che portò la comunità fontanelliana sull'orlo della scissione. L'evento va inquadrato nel clima di tensione che si era prodotto tra le file degli organizzati dopo «I'ammutinamento» avvenuto nella primavera, quando 1'agitazione dei sindacalisti rivoluzionari aveva fatto breccia nella cittadella riformista investendo i poderi
delle affittanze collettive nel comune di San Secondo. Qui i braccianti, insieme ad alcuni cooperatori, avevano aderito allo sciopero sindacalista per le nuove tariffe. Una drammatica testimonianza dello sconcerto che questo fatto produsse nei membri più anziani della cooperativa ci è fornita nella lettera di dimissioni, inviata da Paolo Bertoluzzi, funzionario dell'organizzazione, ai soci dell'Agricola il 10 giugno 1920: Molti lavoratori, nella loro mentalità, si considerano estranei alla loro Cooperativa, Ia considerano cioè un istituto dei dirigenti, che esercita, come il capitalista, Io sfruttamento su1 loro lavoro, un inciampo alle loro libertà d'agitazione e di movimento.
Molti di essi più che agli interessi sociali, cioè di tutta la Società e quindi di tutti, cercano il loro interesse personale in conflitto con quello della collettività.
Abbiamo avuto soci che hanno aderito ad uno sciopero che danneggiava gli interessi della Società e quindi anche di essi stessi senza badare alla grave responsabilità che con ciò si assumevano.
Non vi riuscirono per i1 pronto intervento delle nostre «Guardie rosse» che, forti della loro fede, con 1a coscienza di compiere i1 loro dovere in difesa degli interessi di tutta Ia Società, resistettero all'agguato, allo spionaggio, alle minacce di coloro che volevano imporre pazzamente Ia loro prepotenza.
Le considerazioni espresse nell'ultimo capoverso si riferiscono al tentativo di invasione dei locali della Villa Rossa effettuato dal corteo degli scioperanti dopo una marcia su Fontanelle e respinto con il ricorso al servizio d'ordine dell'organizzazione.
Analoghi, anche se meno clamorosi, episodi di disobbedienza alle direttive della Società si manifestarono tra i braccianti della Terrazzieri ed il personale dell'azienda macchine appartenente all'Agricola.
A queste diffuse manifestazioni di disagio che si esprimevano attraverso la rivendicazione di più elevati salari e 1'insubordinazione verso l'autorità delle istituzioni proletarie, Giovanni Faraboli, il leader storico del movimento, replicava con il richiamo alla disciplina ed alla fede negli ideali della tradizione socialista, alla quale i dissidenti si sentivano ormai estranei: O noi, infatti, siamo per la cooperazione o meglio per lo sforzo collettivo dei lavoratori diretto ad emanciparsi da1 giogo padronale, oppure dobbiamo dichiarare il fallimento delle nostre idealità, curvando il groppone alla volontà degli altri e rinunciando ai sogni delle nostre più belle speranze, a quello che per tanti anni abbiamo chiamato l'ideale di giustizia umana, il socialismo.

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